Fyre

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The Greatest Party that never happen

 

Come sia stato possibile che nell’era dei social mi sia perso questa memorabile figuraccia, me lo chiederò sempre. Ci pensa però “Netflix” a colmare il vuoto con un appetitoso “la più grande festa mai avvenuta” che campeggia nella preview del documentario sul “Fyre Festival”, tra l’altro non l’unico documentario sull’argomento.

Devo dire che pensavo che la festa non fosse mai avvenuta per colpa di uragani, onde anomale e per qualche squalo che ha morso il culo a qualche spettatore. Una cosa tipo Terry Gilliam e il documentario su “Don Chishiotte” per intenderci. E invece no. Minuto dopo minuto mi rendo conto che la situazione è molto, ma molto, peggiore delle sciagure naturali. Alla fine non so se provare sdegno o ilarità. Di certo non provo compassione per il colpevole e nemmeno per i tanti che avevano comprato il biglietto.

Viviamo, come dice uno degli intervistati, in un’epoca social in cui tutti vogliono apparire ed essere esclusivi. Ed è qui, che sta il nodo centrale dell’affare “Fyre Festival”. Ma andiamo con calma e iniziamo con la storia. Billy McFarland è uno di quei tizi, che invidio molto, che a ventidue anni trova ingenti investimenti per una sua idea: la “Magnises” (io non riesco nemmeno a farmi pagare un caffè). Una specie di carta di credito per millenials, che con quell’oggetto potevano andare a eventi esclusivi, club e altro ancora. Poi, McFarland crea anche la “Fyre Media”, un’azienda che propone l’app “Fyre Music” che consente di ingaggiare cantanti, performers ecc.ecc.
Decide nel 2017 di lanciarla in grande stile, con, il “Fyre Festival”, la versione deluxe del “Coachella” organizzato con il rapper Ja Rule. Ed è qui che parte l’incredibile storia raccontata del documentario.

Sponsorizzato a suon di super modelle, tra le quali Emily Ratajkowski, Kendall Jenner e Bella Hadid e altre che corrono sorridenti su una spiaggia delle Bahamas, promettendo musica, yatch, pasti da gourmet e villazze con piscina è da subito un successo enorme, anche grazie a una line-up di primo piano (tra i tanti i Blink-182).

Ma dal successo annunciato al disastro totale il passo è breve. La squadra di McFarland è totalmente inesperta lui strapaga gli artisti, compra uffici extralusso e soprattutto non pensa all’organizzazione. Ma non solo, si fa cacciare dai proprietari dell’isola per aver sponsorizzato la location con un “questa era l’isola di Pablo Escobar”. Ciao, isola incontaminata di Norman’s Cay e via alla ricerca spasmodica di un’altra location che alla fine è Great Exuma, un posto che nonostante sia abitato viene abilmente manipolato nelle foto per dargli un look verde e incontaminato. Avete detto prendere per il culo il pubblico? Beh…aspettate, il bello deve ancora venire.

Intanto il tempo passa, le difficoltà finanziarie aumentano. La comunicazione è efficace ma sul posto, non ci sono le villazze, gli chef e tutta l’assistenza promessa da McFarland e soci. E poi, quando arriva il gran momento, cioè Aprile 2017, la gente scopre che il Jet privato è in realtà un mediocre Boeing e che sull’isola al posto delle ville ci sono delle tende che sono già annacquate a causa della pioggia. E gli chef? Panini in contenitori di polistirolo. Sì scatena l’ovvio caos e la follia collettiva che tocca il suo apice con la gente che viene chiusa in aeroporto.
Nessun concerto, i “Blink 182” evitano il disastro annunciando prima della data che non avrebbero partecipato al festival. Ja Rule invece si smarca solo a cose fatte. Alla fine è l’ennesimo crollo di uno dei tanti che “si è fatto da solo” che finisce in galera con un po’ di capi d’accusa (tra l’altro non solo legati al “Fyre Festival”).
Il documentario che sembra più un film dell’orrore, mostra filmati dei tragici giorni e riporta testimonianze dei collaboratori di McFarland, tra i quali uno pronto a fare un pompino a un tizio per salvare il festival. E una signora che ha perso tutti i risparmi. Un racconto in crescendo, ben gestito e appunto incredibile. Alla regia Chris Smith già regista dell’apprezzato “Jim & Andy”

 

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