Hunters

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Why do the good guys always have to choose to do the right thing?

L’ampia pubblicità che Amazon ha fatto in ogni posto, faceva facilmente intuire che “Hunters” era per il colosso americano, un prodotto di punta, anche per la presenza di Al Pacino.
L’idea nasce da David Weil, nipote di una sopravvissuta all’Olocausto, e giovane e interessante autore che sentiremo spesso in futuro e che non solo ha convinto Amazon, ma anche Al Pacino e un cast di tutto rispetto della bontà della sua storia.
Come il titolo ci fa facilmente pensare, qui, si parla di cacciatori. Cacciatori di nazisti per la precisione, capeggiati da un grandioso Al Pacino la cui partecipazione non è un semplice cameo da star idolatrata per richiamare pubblico, ma un ruolo centrale per le vicende della storia. Cacciatori di nazisti che rimandano a storie vere e non a caso c’è una scena con il personaggio di Simon Wiesenthal il più famoso cacciatore di nazisti della storia, si parla dell’Operazione Paperclip, cioè l’assunzione da parte della NASA di ingegneri ex nazisti con il beneplacito del governo americano e si fa riferimento a luoghi, nomi e a fatti storici.

Fin qui tutto bene, se non benissimo, far fuori i nazisti non è mai cosa sbagliata, anzi (Wiesenthal era di tutt’altro parere), ma, “Hunters”, abbina questi riferimenti storici a un aspetto da fumetto dei supereroi, dando pure sferzate di comicità. E non solo, le prime puntate hanno riferimenti palesi al cinema di Tarantino.
Così, da un lato abbiamo la storia e dall’altra situazioni paradossali, il cui incontro ci porta spesso a un senso di confusione, smarrimento. Dobbiamo ridere? Dobbiamo piangere o incazzarci? La parte storica citata è reale oppure no? Davvero i nazisti giocavano a scacchi usando come pedine i prigionieri? Sono i dubbi che le dieci puntate fanno spesso venire allo spettatore.

L’approccio di “Inglorius Basterds” nella caccia ai nazisti era improntato al paradosso, alla violenza liberatrice e a una chiara finzione di fondo, che abbracciava tutto il film e che non faceva nascere dubbi storici.
L’altra serie di Amazon sui nazisti “The man in the High Castle”, era in partenza un fantasy storico, che aveva un’unica linea drammatica.
Qui invece questo doppio aspetto di fantasia strettamente legata alla realtà smussa e non di poco l’onorevole idea di Weil che voleva tener viva la memoria dell’Olocausto.
Ma a parte questo difetto, bisogna riconoscere che “Hunters” è una serie ottimamente realizzata, con una splendida ambientazione anni settanta, ottimamente diretta e naturalmente recitata (e non solo per Al Pacino). Dieci puntate che riescono a tenere alta la tensione fino all’immancabile e imprevedibile colpo di scena finale.

Anni settanta, New York. Jonah Heidelbaum (il lanciatissimo Logan Lerman) assiste al misterioso omicidio di sua nonna (Jeannie Berlin). Viene in seguito avvicinato da un certo Meyer Offerman (Al Pacino) che lo introduce, dopo vari tentennamenti, in un gruppo variopinto di cacciatori di nazisti. C’è lo scarso attore Lonny Flash (Josh Radnor), un’ambigua ragazza vestita da suora, Harriet (l’australiana Kate Mulvany), i coniugi Markowitz, (Saul Rubinek, Carol Kane) sopravvissuti a un campo di concentramento, l’afro americana Roxy con tanto di capelli cotonatissimi (Tiffany Boone) e l’esperto di arti marziali il nippo-americano Joe (Louis Ozawa). Il loro obiettivo è di scovare e uccidere i nazisti che vivono in incognito, ma il rischio di diventare mostri a loro volta è alto. I nazisti americani invece guidati dal Colonnello (Lena Olin) che si avvale di potenti killer come Travis (Greg Austin), un personaggio in stile Fargo, puntano a stravolgere l’ordine e conquistare il potere con un astuto piano. In mezzo non manca la polizia con l’indagine condotta da Millie Morris (Jerrika Hinton).
Tra omicidi fantasiosi, come quello nella doccia o l’interrogatorio nello studio di registrazione, “Hunters” regala momenti eleganti e ben studiati. Vedremo se da grande “Hunters” capisce cosa vuol fare nella vita.

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