La Casa di Carta

La Casa di Carta


Sai dove sono finiti tutti quei soldi? Alle banche. Direttamente dalla zecca ai più ricchi. Qualcuno ha detto che la BCE è una ladra? Iniezione di liquidità, l’hanno chiamata. E l’hanno tirata fuori dal nulla Raquel, dal nulla.

Ogni volta che aprivo “Netflix”, spuntava questo titolo, che però non mi diceva granché. Poi, amici, social e siti vari cominciano prepotentemente a parlarne come il capolavoro del 2018 (2018 per l’Italia intendo) e quindi che vuoi fare? Puoi perderti una serie su una rapina, anzi, sulla rapina del secolo? Per di più una serie spagnola, quindi una cosa originale? Ma no, certo che no.

E quindi, ho iniziato a guardare le prime due serie de “La Casa di Carta”, serie di Alex Pina, trasmessa in Spagna, un anno fa sul canale “Antena 3” e che può vantare diverse cose. È la serie non in lingua inglese, più vista su “Netflix”, in Argentina danno di matto, in Uruguay hanno fatto pure una lotteria con i nomi dei personaggi, un gruppo di hacker ha sostituito “Despacito” con un fotogramma della serie e in Arabia Saudita durante un incontro di calcio dei tifosi hanno creato una scenografia in cui l’allenatore figurava come “El Profesor” e quattro giocatori come i suoi complici. Insomma in ogni parte del globo non si fa altro che parlare de “La casa de papel” e per certi versi pure in Turchia, dove però Erdogan non vede di buon occhio la serie.
E perché il Sultano non la ama? Perché a suo dire (e non solo suo) questa serie inciterebbe alla disobbedienza e criticherebbe duramente le istituzioni. Il che è anche la ragione del successo planetario.

La storia de “La Casa di carta” è, infatti, una grande paraculata, che trae ispirazione dal più facile populismo. Un intellettuale molto nerd, detto “El Profesor” raccoglie un gruppo scelto di criminali molto carini, per farli entrare nella Zecca di Stato, tenere in ostaggio dipendenti e visitatori e nel mentre stampare milioni e milioni di euro. In pratica non rubano niente a nessuno, stampano denaro nella stessa maniera della BCE (come dice “El Profesor”) la quale però ha dato poi quei soldi alle banche e non al popolo. Non vogliono ammazzare nessuno (e non lo fanno) e si divertono a giocare con i cattivi che in questo caso è la polizia e soprattutto i servizi segreti. Cercano pure di far riflettere sull’esistenza alcuni ostaggi (ti tengono in ostaggio e ti psicoanalizzano, che vuoi di più?).
A conti fatti è la realizzazione delle fantasie più sfrenate di qualche partito che parla alla pancia della gente.

A ciò si aggiunge una storia che non fa fare grandi sforzi al pubblico perché si sviluppa su cose già viste con ampie citazioni di altri film o serie Tv a iniziare da “Reservoir dogs” di Tarantino, per passare a “Inside Men” di Spike Lee a “V per Vendetta” e tanto altro ancora. Non ancora soddisfatto, Pina paragona i rapinatori ai partigiani italiani con grande sfoggio di “Bella Ciao” e palesi citazioni, senza contare un epilogo per uno dei personaggi in stile “Per chi suona la campana”.

A parte questo paragone con la Resistenza che mi sembra molto gratuito, bisogna dire che Pina costruisce abilmente una cosa che funziona benissimo in ogni suo aspetto. L’empatia nei confronti dei “criminali” arriva fin dalla prima puntata tanto quanto l’odio nei confronti dei Servizi Segreti mentre quel senso di “spero che non gli o le capiti nulla” verso i protagonisti cresce di puntata in puntata grazie a un’abile narrazione. Qui però nel tentativo di aggiungere sempre nuovi fatti “La Casa di carta” finisce spesso in situazioni assurde e nel paradossale, intrecciando anche storie d’amore piuttosto improbabili e creando scene più o meno strappalacrime. Il gioco poi del “ma muore oppure no?” funziona per le prime tre volte e dopo stanca.

Anche se “El Profesor” è un intellettuale che ha previsto ogni singolo momento del piano, le cose non vanno come dovrebbero, per ovvie ragioni di copione. Il suo gruppo scelto è composto da personalità un po’ particolari, a iniziare dal leader Berlino (tutti hanno nomi di città) un elegante criminale molto egocentrico, per passare poi a teste caldissime come Tokyo, una specie di Nikita, che s’innamora del giovane collega mattacchione Rio (con logici problemi di cuore) e di Denver, il quale instaura una relazione con un ostaggio. Senza dimenticare la falsaria Nairobi e una serie di altri criminali che bilanciano muscoli e saggezza.
Tra litigi, problemi vari e tentativi di ammutinamento i nostri seguono alla lettera il piano de “El Profesor” il quale li segue da fuori e complica ulteriormente le cose, innamorandosi della commissaria che segue il caso (e pure lei ha diversi problemi famigliari).

Tutto traballa insomma e anche il rapporto con gli ostaggi non è facile e tra l’altro non è chiaro, dove questi stiano e non è chiaro chi li controlli.
Qualcuno ha scritto che gli spagnoli sono maestri delle cose surreali/assurde, il che è di fatto vero, ma per farlo devi saper maneggiare con cura la cosa e non sempre questo accade ne “La Casa di Carta”.
Comunque a parere personale e al netto delle tante assurdità “La Casa di Carta” è una serie gradevole con interessanti momenti registici e narrativi, la maschera di Dalì che indossano i criminali vale la pena di buttarci un occhio. Non è di certo un capolavoro e tanto meno un esempio di crime story.

 

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