La Casa di Carta

La Casa di Carta

Quarta Stagione

Tutto può andare a puttane in un millesimo di secondo

Attenzione! Contiene spoiler!

“Tutto può andare a puttane in un millesimo di secondo”, dice Tokyo e, in effetti, il dubbio che stia per accadere mi viene quasi subito. Matrimonio in un chiostro. Ci sono il Professore, Palermo, Marsiglia e Berlino che è lo sposo. E soprattutto c’è un coro di frati che intona “Ti Amo” di Umberto Tozzi. Poco conta che subito dopo cantino “Centro di gravità permanente” di Battiato, perché è evidente che la quarta serie de “La casa di carta” ha già scelto cosa essere.

Va bene, se fossi Umberto Tozzi o Battiato direi che le cose stanno andando alla grande, un po’ di pubblicità non fa mai male. Ma siccome non sono, né uno né l’altro è evidente che ci troviamo in una soap opera, ambientata in una rapina. “La Casa di Sapone” o ancor meglio “Gli occhi del cuore 4”, per citare il buon René Ferretti, erano titoli più appropriati per quello che si vede: Rio che si molla con Tokyo. Denver e Stoccolma litigano pesantemente e i quattro finiscono in un intreccio amoroso di gelosia e provocazioni.
Nasce l’amore tra Bogotà e Nairobi, mentre il Professore si strugge per la lontananza della sua amata Raquel, che a sua volta soffre dentro la tenda della polizia davanti alla cattivissima Sierra che poi racconta un aspetto drammatico della sua vita. Palermo si dichiara a Berlino, il quale è attratto da lui, ma non può amarlo. [Inhale]
Ci mancava solo che qualcuno svelasse una paternità…ah…no…aspettate…su questo ci siamo andati davvero vicino, perché il professore doveva dare un figlio Nairobi (con la fecondazione artificiale, il professore non è tipo da fornicare con chicchessia).

Romanticismo e azione dunque, un mix fortemente voluto dalla produzione, come ci viene detto nell’interessante special sulla serie, (la cosa migliore da vedere de “La Casa di Carta” e sempre visibile su Netflix), per ovviare alla mancanza di romanticismo nei film d’azione e di azione nei film romantici.
Bisogna darne atto, al netto della ridicolaggine di questa stagione, che non sarà né l’ultima e nemmeno la penultima, che il gioco come sempre funziona ed è di sicura presa sul pubblico. A partire dal solito ottimo montaggio che lascia lo spettatore in attesa di avvenimenti e lo spingono a vedere subito la puntata successiva.
Il resto per questo fenomeno di massa, lo fanno semplici e collaudati aspetti, dei quali ho già scritto nelle precedenti stagioni (1,3) In sintesi: Empatia con i criminali umanamente imperfetti e con i cui problemi ci si identifica e del cui aspetto ci si innamora (soprattutto Úrsula Corberó e Jaime Lorente, ma qualcuno trova interessanti anche altri attori).
Polizia cattivissima, sempre più cattiva dall’inizio della serie, che qui tortura, nega diritti e dà la libertà al Rambo di turno di fare ciò che vuole dentro la banca.
Il tutto si srotola con dinamiche davvero leggere e a servizio dei fan, che non spingono il pubblico a fare un grande sforzo mentale come farebbe con i tanti film da cui la serie copia (cioè… volevo dire da cui prende ispirazione). Quindi sui social è una sbrodolata di commenti di gente che ha vissuto le otto puntate con grande tensione e che ha pianto in preda all’emozione, ma, forse per la prima volta, ci sono anche tantissime critiche.

Critiche dovute, oltre che al lato soap, anche a diversi buchi nella sceneggiatura e per quanto mi riguarda a situazioni esagerate, che già emergevano nelle passate stagioni e qui esplodono in tutto il loro “splendore”.
Questi spostano lingotti sott’acqua come se quelli fossero fatti di schiuma (e in realtà lo sono). Il capo delle guardie della Banca, tale Gandía, dopo essersi slogato il pollice per liberarsi dalle manette, spara con due mani, che manco Rambo ai temi migliori. Poi mena, si tuffa, salta rotola via e sfugge alle mitragliate della banda dopo tra l’altro aver lanciato una granata in un ascensore a Denver e Rio, che ne escono pure illesi.
Gandía mette pure il cappio a Helsinki e lo tira su da una balaustra. Cattura Tokyo e a lega mani e piedi Nairobi, la quale, vi ricordo, è stata colpita da una pallottola nella terza serie, operata dai compagni in questa, curata e in breve tempo pronta per tornare al lavoro, senza un pezzo di polmone. Per poco, perché Gandía l’ammazza a tradimento.
Abituato al fatto che ne “La casa di carta”, muore poca gente e che Nairobi era un personaggio centrale ho creduto fino alla fine, cioè fino a quando Alba Flores nel documentario non ha salutato la crew, che fosse tutta una messa in scena o un sogno. Invece no, Nairobi muore davvero ed è l’unica cosa degna di nota di tutta la stagione. Intendiamoci, non ho nulla contro Nairobi, anzi era anche un bel personaggio, ma dal punto di vista narrativo è un bel colpo di scena. L’unico.
Sì certo, questa tensione, questo momento emozionante è poi smorzato dalla trashata di quattro guardie della Banca di Spagna, che escono portando il feretro inscenando un funerale, una scelta che fa parte del campionario trash che questa serie ha mostrato già in passato. A parte il già citato coro nel chiostro, Pina e soci ci deliziano con un balletto delle donne della banda che festeggiano Nairobi che ha appena dichiarato che avrà un figlio, con una serie di pentole di paella e birrette offerte dallo Stato ai prigionieri e rapinatori e ancora, il Professore che se la vede con un toro. Conclude un elicottero militare che vola indisturbato su una Madrid militarizzata senza che nessuno controlli che effettivamente sia un mezzo dell’esercito. E non lo è, sono i nostri che li perculano.

La quarta serie ci fa trovare i nostri sempre nella Banca di Spagna a fondere oro (e quanto si capisce saranno lì, anche nella quinta serie) e non tutto fila liscio. Problemi di cuore a parte, la polizia torchia Raquel, Palermo si ribella, è imprigionato e aiuta Gandía a liberarsi. Il Rambo spagnolo oltre ad essere molto fascista scatena l’inferno, prima di essere usato in un brillante piano che chiude la serie. Lui resta in vita, perché sia chiaro, i ragazzi del professore non sono assassini.
In tutto questo minestrone non manca Arturito che cerca di fomentare la ribellione dei prigionieri e che violenta una donna alla quale ha dato dei tranquillanti. Lui rappresenta la meschinità dell’essere umano ed è l’unico aspetto centrato e reale di una serie che non ha più nulla da dire da almeno tre stagioni.

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