Baywatch

Baywatch

(ode a)

Are you sure this is a life guard initiation thing?
In questo periodo storico, dopo due minuti di telegiornale del mattino, mi viene l’angoscia. Pessimismo e fastidio per questa spiacevole situazione, ma per fortuna c’è “Paramount Network” che riesce ad alleviare il mio stato d’animo. E lo fa con le repliche di “Baywatch”. E non una puntata sola, ma ben due. L’oceano, la spiaggia, il sole e i salvataggi. Ok va bene: le bagnine in costume rosso. E sappiate che buttarsi in quel mare trash e improbabile è un raggio di sole che distrae da tutto quanto.

Sinceramente non avrei mai pensato che “Baywatch” potesse avere quest’onore. Non l’avrei mai pensato nemmeno nei primi anni novanta, quando questo telefilm rappresentava per tutti un interessante approfondimento sui costumi. Quelli da bagno.
E nemmeno dalla metà in poi di quel decennio, quando ormai grazie a internet si approfondiva il tema (senza) costumi delle protagoniste. Va anche detto che “Baywatch” rappresentava anche tutto quello che odiava all’epoca: il mainstream, l’americanismo malcelato, l’eroismo pressante, le paternali buone e giuste del suo protagonista, Mitch Buchannon. Il quale, va detto, trombava a destra e a manca e cresceva da solo un figlio, ma sapeva indicarti la via giusta per una vita corretta, morigerata, da bravo padre di famiglia ammericano. Quel David Hasselhoff idolo di noi bambini degli anni ottanta e che col senno di poi era già uno spocchioso coglione quando guidava una macchina parlante.

Eppure, tutto ciò ora appare lontano, demodé e “Baywatch” è diventato un immancabile appuntamento mattutino. La sua forza è che descrive un mondo, che non esiste, un’utopia, dove ci piacerebbe vivere. Bagnine tettone che corrono a rallentatore sulla spiaggia, bagnini manzi, che corrono come Bolt sulla spiaggia. Bagnanti dove la più brutta è stata eliminata nelle fasi avanzate di Miss Universo. E ancora, un mondo dove tutto si risolve. Dove pochi muoiono accidentalmente e se proprio succede, è perché il personaggio deve uscire dalla serie, (ma esce dalla serie anche per mutate esigenze di vita) dove se fai cazzate, qualcuno ti perdona o risolve ma poi ti becchi una lunga e pallosissima paternale.

Dobbiamo essere sinceri però, un mondo così perfetto è una gran rottura di palle e soprattutto saremmo cacciati subito in malo modo. Già, ammettiamolo, quanti di noi riuscirebbero a competere con le forme di C.J., di Donna o di Lani, cioè di Pamela Anderson, Donna D’Errico e Carmen Electra, solo per citarne alcune o con i muscoli e l’intelligenza di Stephanie? E quanti riuscirebbero a essere notati più di Cody, di Logan, di Matt o a essere più efficaci di Michael Newman che nella vita reale era davvero un Life Guard e pompiere?
Ben pochi probabilmente. Quindi evitiamo figure di merda.

La fortuna di “Baywatch” nelle sue undici stagioni, più spin-off, è stata quella di trovare una formula semplice: bellezza degli interpreti, leggerezza di fondo, azione e buoni sentimenti. Una formula banalissima, che unita a inquadrature sui culi e tette delle attrici (credo che l’operatore soffrisse di cervicale) ne ha decretato un incredibile successo. Incredibile perché a quanto pare la NBC cancellò lo show dopo una sola stagione, nel 1989, prima che David Hasselhoff con Berk e Schwarz e Bonann se la producessero da soli portandola al successo mondiale, a diversi film tv e a uno piuttosto recente che prima o poi recensirò.
Una serie che ha ospitato personaggi famosissimi, come Richard Branson (che fa sci d’acqua e presenta la Virgin Cola), la famosa VJ, nonché gran ricordo di quegli anni, Jenny McCarthy, Hulk Hogan, Randy Savage, Jay Leno e tanti altri ancora. Un carosello, insomma, con una recitazione pessima e una produzione che usa trucchetti da b movie al servizio di una regia che si salva solo per le inquadrature su tette e culi e che ci ha dato perle trash quasi in ogni puntata. Difficili elencarle tutte, ma C.J. che bacia una foca, in un vestitino striminzito (probabilmente ispirata dal film “W la foca”) è con il sogno di Mitch in cui muore lanciandosi col paracadute che non si apre e finendo vivo in acqua tuffandosi a candela i momenti che ricordo di più fin dagli anni novanta. Per non parlare della puntata in cui muore Stephanie e del suo funerale sulla spiaggia, con le facce basite (direbbe René Ferretti), dei protagonisti. E quella dopo? Quella in cui pensano che Stephanie si sia reincarnata in un cane? Una meraviglia. E ancora, lo strip lesbo, quando pensano di essere le “Charlie’s Angels” o il momento in cui appare una specie di medusa marina che sembra uscita da un film di Corman. Adorabile.

Comunque per fare una puntata di “Baywatch” ci vogliono pochi ingredienti. Prima di tutto, una bagnina tettona che corra a rallentatore sulla spiaggia e un bagnino tartarugato che corra senza spettinarsi sotto il sole. Poi una vasta serie di coglioni che si buttano in acqua senza sapere nuotare o guidare una barca o dopo aver mangiato una parmigiana. Ci sono anche gli sfigati, quelli che sì sanno nuotare o guidare una barca, ma che si scontrano con ufo, animali preistorici e quant’altro, cioè cose, che da quelle parti non si sono mai viste. Tranquilli però i nostri eroici bagnini sono pronti a lanciarsi in mare e a salvare il malcapitato all’ultimo secondo, mettendo a rischio la propria vita.
Non deve mancare poi il problema sociale, tipo alcolismo, droga o anche qualcosa di meno importante, in cui spesso il nostro Mitch ci mette becco o al massimo ci pensano i nostri eroi in costume. Una piccola vicenda sentimentale del tipo che si amano, trombano, si lasciano, poi forse si sposano, ma poi lasciano di nuovo, con un alleggerimento comico da contraltare. Alleggerimento che non fa ridere manco per errore. A questo proposito si veda la puntata col topo che ruba gli oggetti.
Così kitsch, glam e così assurdo che è la distrazione perfetta per questo periodo. Grazie “Baywatch” per mostrarci che il mondo poteva essere un posto peggiore e grazie all’operatore con la cervicale.

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